L’accesso alla posta elettronica personale dei lavoratori non è consentito al datore di lavoro per finalità difensive, neppure se le email sono state rinvenute sul server aziendale e sul personal computer assegnato ai dipendenti.

È da respingere la tesi per cui, essendo il datore titolare dei sistemi informatici aziendali sui quali erano confluite le comunicazioni personali degli account privati dei lavoratori, si trattava di corrispondenza “aperta” che, come tale, il datore poteva utilizzare in sede giudiziale. Al contrario, si deve ritenere che gli account privati dei dipendenti conservino il carattere di corrispondenza “chiusa” anche se i lavoratori hanno utilizzato il personal computer in dotazione per la posta elettronica personale e le loro comunicazioni sono confluite sul server aziendale.

Per la Cassazione (sentenza 24204/2025), è dirimente che le comunicazioni acquisite dal datore provenissero da account di posta elettronica personali dei lavoratori protetti da una password, perché, sebbene essi fossero inseriti sul server aziendale, si tratta comunque di espressione della vita privata e di diritto di corrispondenza tutelati, tra l’altro, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (articolo 8).

La causa è stata promossa dal datore di lavoro per atti di concorrenza sleale e violazione dei doveri di fedeltà e diligenza da parte di alcuni dipendenti che, nel frattempo, hanno interrotto il rapporto. Per supportare la domanda risarcitoria, il datore ha prodotto una consulenza tecnica informatica contenente le email private dei lavoratori. In primo grado il ricorso dell’azienda è stato parzialmente accolto e i lavoratori, una volta accertate la concorrenza sleale e le condotte infedeli, condannati a risarcire il danno in misura pari alle retribuzioni ricevute nell’ultima fase dei rapporti di lavoro (incluse le competenze di fine rapporto).

La Corte d’appello di Milano ha riformato la decisione, ritenendo inutilizzabili gli esiti della consulenza informatica, perché l’accesso agli account privati dei lavoratori, benché inseriti sul server aziendale, costituisce violazione del diritto di vita privata e di corrispondenza. La Cassazione conferma la sentenza e rimarca che le comunicazioni dei dipendenti tramite l’account privato ricadono nelle nozioni di “vita privata” e di “corrispondenza” anche se sono trasmesse dai locali aziendali e non sono utilizzabili per un’azione giudiziale risarcitoria.

Nel bilanciamento dei contrapposti interessi, il controllo datoriale soggiace ai limiti della proporzionalità (nel senso di utilizzo della modalità meno intrusiva) e della preventiva informazione ai lavoratori sui possibili controlli. Nel rispetto di questi limiti, cui il datore è tenuto a presidio della riservatezza dei dipendenti, è illegittima la conservazione dei dati personali dei lavoratori relativi alla posta elettronica privata, tanto più se acquisiti mediante sistemi di controllo rispetto ai quali non è stata osservata la procedura dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori e non è stato raccolto il consenso individuale.

Il trattamento dei dati relativi alle email estratte dagli account privati, in assenza di queste condizioni, costituisce, altresì, violazione del divieto di indagini sulle opinioni e sulla vita personale del lavoratore.

Fonte: Il Sole 24 Ore - di Giuseppe Bulgarini d'Elci

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