Qualche giorno fa, mi è capitato di visualizzare un video nel quale si narrava una sorta di storia della pastasciutta. L’idea trasmessa era che fosse diventata piatto tradizionale solo dopo la caduta del fascismo (tralascio qui il dettaglio della storia). Ho storto il naso come molti degli utenti che sotto il video hanno commentato, ricordando al creatore del contenuto che la tradizione della pasta in Italia arriva da molto più lontano e, così raccontata, la narrazione rischiava di dare una visione errata della storia, anche culturale, di un popolo.
Il punto è questo: in un mondo in cui abbiamo una quantità enorme di informazioni e poco tempo a disposizione per verificarle, tendiamo a dare per buona la prima che ci viene offerta. Questo accade quando a fornire informazioni è una persona fisica, ma sempre più spesso consideriamo immediatamente vere anche quelle che ci arrivano da una persona virtuale, ovvero la ormai onnipresente intelligenza artificiale.
L’IA generativa, infatti, dispone della capacità di generare fake news attraverso modelli di linguaggio che possono risultare convincenti e che hanno lo scopo di manipolare le vere notizie che, rapidamente, si diffondono in rete e in modo estremamente capillare. Questo è possibile anche perché l’IA sfrutta i dati che le vengono forniti dalle piattaforme social con i loro algoritmi o direttamente da noi quando buttiamo in pasto a un chatbot qualsiasi dato personale (come anche particolare o di salute); in questo modo essa riesce ad adattare le informazioni (o le risposte, quando si fanno domande dirette) richieste alle inclinazioni degli utenti.
Accade così che la manipolazione delle informazioni e la loro rapida diffusione si trasformino in un danno reale tanto per le singole persone (che vedono il proprio nome associarsi ad azioni mai commesse o fatti ai quali non hanno mai assistito), quanto per le aziende (che possono subire danni reputazionali e vedere i loro clienti perdere fiducia e allontanarsi) e per la stabilità stessa delle comunità e delle democrazie (che vedono i cittadini indirizzati verso scelte che sono sempre meno libere e consapevoli).
E mentre la Comunità Europea cerca di elaborare continuamente strategie di contrasto all’utilizzo dei dati personali delle persone per la creazione di false informazioni (spesso considerate limite e intralcio al progresso e all’economia), anche noi possiamo provare a metterci del nostro partendo dall’abbandonare gradualmente (o per lo meno limitare allo stretto necessario) la pratica di disseminare dati personali nelle piattaforme che navighiamo e utilizziamo e coltivando un po’ di quel sano dubbio utile a evitare di prendere per buona ogni cosa che leggiamo. Usare saggiamente l’intelligenza biologica resta ancora il solo metodo valido per evitare gli inganni di quella artificiale.
Fonte: La Guida - di Milena Comino (Pentha S.r.l.)
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