Secondo la recente pronuncia della Corte di appella di Milano 302 del 2 aprile 2025
la condotta del dipendente, il quale, nell’ambito delle sue mansioni,
acquisisca illegittimamente il numero di telefono di una candidata
all’assunzione ricavandolo dal curriculum vitae, intercettato durante lo
smistamento della corrispondenza, e lo utilizzi per finalità personali
estranee a quelle aziendali, costituisce grave violazione degli obblighi
di diligenza e della privacy della candidata.
Tale comportamento, perpetrato da un
soggetto specificamente formato e consapevole delle istruzioni aziendali
sul trattamento dei dati personali, integra giusta causa di
licenziamento, traducendosi in lesione irreparabile del vincolo
fiduciario in quanto incide sugli obblighi di collaborazione e fedeltà
cui è tenuto il dipendente e lede il diritto alla privacy della
candidata.
Il caso trae origine da un ricorso
presentato da un lavoratore, addetto alla gestione della posta interna
presso la direzione amministrativa, che veniva licenziato per giusta
causa per aver estratto dal c.v. di una candidata all’assunzione,
trattato per finalità di lavoro, il numero di cellulare della stessa,
contattandola tramite messaggi WhatsApp per finalità personali.
Il Tribunale di Milano giudicava il
licenziamento per giusta causa legittimo, ritenendo il descritto
comportamento come idoneo a integrare una grave violazione degli
obblighi di diligenza di cui al Ccnl e del Gdpr e incompatibile con il
permanere del vincolo fiduciario.
Il lavoratore appellava la sentenza,
sostenendo che la sua condotta non fosse così grave da giustificare il
licenziamento, non avendo divulgato il dato a terzi, ma essendosi
“limitato” a inviare brevi messaggi di testo immediatamente sospesi
quando richiesto dalla destinataria.
La Corte d’appello ha respinto il
gravame, confermando la sentenza di primo grado e ritenendo che la
condotta del dipendente, in considerazione delle circostanze del caso
concreto, integrasse una grave violazione anche delle disposizioni
contenute nelle direttive a lui riferite in base alle quali egli avrebbe
dovuto accedere esclusivamente a quei dati la cui conoscenza fosse
strettamente necessaria per adempiere ai compiti a lui attribuiti. Anche
secondo il giudice di appello, l’uso dei dati personali della candidata
illecitamente acquisiti da parte di un soggetto adeguatamente formato
in materia di privacy, nonché consapevole del trattamento da riservare
agli stessi, ha una significativa valenza negativa, traducendosi in un
una lesione irreparabile del vincolo fiduciario incidendo
intrinsecamente sugli obblighi di collaborazione e fedeltà cui è tenuto
il dipendente nei confronti della datrice di lavoro. Detto contegno è
stato correttamente valutato come incompatibile con il permanere del
vincolo fiduciario e quindi integrante la giusta causa di licenziamento.
La sentenza ha giudicato del tutto
irrilevante la circostanza che il dipendente non avesse divulgato il
dato a terzi, atteso che egli aveva comunque gravemente abusato delle
sue prerogative, ledendo l’affidamento della Società nella correttezza
del suo operato.
La Corte ha altresì giudicato che a
nulla valesse la circostanza che la condotta contestata sarebbe stata
solo in parte riconducibile alle previsioni del Ccnl, dal momento che
l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta
nei contratto collettivo nazionale ha valenza meramente esemplificativa
(diversamente dall’elencazione prevista per le sanzioni conservative), e
non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine
all’idoneità di un grave inadempimento o di un grave comportamento
contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a
far venire meno il rapporto fiduciario (Cassazione 12 febbraio 2016, n.
2380, Cassazione 26 ottobre 2022, n. 27238).
Nel caso di specie – ha concluso la
Corte d’appello – le violazioni perpetrate dal lavoratore erano
molteplici, gravi e tali da integrare la giusta causa di recesso, tanto
più che il dipendente risultava essere già stato sanzionato in passato
per precedenti violazioni che, ancorché non richiamate nella
contestazione, possono essere comunque valutate ai fini della
proporzionalità della sanzione (Cassazione 26 novembre 2018, n. 30564).
Fonte: Il Sole 24 Ore(di Claudio Ponari)